I due italiani uccisi in Libia. Che cosa aveva saputo Fausto Piano? Le sue foto in esclusiva

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La domanda è questa, che cosa aveva visto (o sentito) che non avrebbe dovuto vedere (o sentire) Fausto Piano, il tecnico di 61 anni ucciso in Libia il tre marzo scorso insieme al suo collega Salvatore Failla, 47 anni? E visto che il Copasir ha convocato con la massima urgenza il direttore dell’Aise (servizio segreto per l’estero), generale Alberto Manenti in considerazione del fatto che neanche un deputato di Sel crede alla favoletta che Giulio Regeni fosse al Cairo per fare inchieste giornalistiche (vuoi vedere che ci avevo acchiappato?), non potrebbe fargli qualche domandina anche su questi altri due omicidi ai danni di cittadini italiani? La morte di Piano e di Failla, uccisi secondo la versione ufficiale durante un blitz per liberare loro, Filippo Calcagno, 65 anni e Gino Policardo, 55, gli altri due colleghi della azienda italiana presso cui lavoravano, rapiti nel mese di luglio del 2015, è piena di asperità interpretative.

Fausto Piano
Fausto Piano

Piano 2
Piano 3
Ricordate l’allarme inquietante che avevo lanciato? Quanti altri “Regeni” ci sono in Egitto e in Libia? Con questo non voglio dire che Piano e Failla avessero in qualche misura rapporti con l’intelligence italiana. Certo è, però, che si tratta di un duplice omicidio che presenta secondo alcune fonti molti punti di contatto con altri sequestri ai nostri danni. A cominciare dai soldi. Il sempre ben informato Imola Oggi ipotizza senza mezzi termini che: “L’Italia aveva già in parte pagato il riscatto. Ma qualcuno se l’è svignata coi soldi”. La ricostruzione, verosimile, del giornalista Maurizio Blondet, è agghiacciante: se davvero fosse così, significherebbe che siamo nelle mani di personaggi da barzelletta. Riporto, testuale, dall’articolo di Blondet su www.imolaoggi.it: “…abbiamo offerto 12 milioni di euro. La parte (quanti milioni?) l’abbiamo data all’autista che guidava il giorno in cui i due sono stati rapiti. E lui anche. Mohamed Yahya, un giovanotto che all’Eni consideravano “sospetto”… Probabilmente è stato lui a organizzare il rapimento… ha fatto finta di essere anche lui pestato dai rapitori. Dopo un po’ ha detto ai nostri intelligenti di avere dei contatti, forse, con i rapitori… sapete, l’Isis…Ho messo in giro la voce, “gli italiani pagano”… Mi ha contattato uno, non vi posso dire di più. Non ci credono vogliono vedere i soldi. Se me ne date un po’ ripenso io a sbloccare la situazione. Dovete fidarvi…
Presa la valigetta, e Yahya è sparito…”. Blondet ha fonti solide e antiche. Difficile che sbagli. D’altronde qualche cosa del genere è arrivato all’orecchio anche a me. E che ci sarebbe a stupirsi?
Qui si paga, uomini del terrore, avanti, prego… È sconsolante vedere che un paese come l’Italia, un tempo non lontanissimo culla dell’intelligence, sia ridotto ad avere apparati di sicurezza non solo oramai allevati al motto di “O si paga o si muore”, ma anche in balia del primo furbastro che li mena per il naso. È successo con Giuliana Sgrena, e ci ha rimesso la vita Nicola Calipari, è successo con Greta e Vanessa e qualcuno ha fatto la cresta di un milione di euro, e, secondo queste prime ricostruzioni, sarebbe rocambolescamente capitato anche ora, in Libia. Brutta storia, insomma. Ma non sufficiente a spiegare il duplice omicidio.
E qui i riflettori si puntano sul povero Fausto Piano. Chi lo ha conosciuto lo descrive come una persona che aveva l’indole del guerriero e una certa passione per le armi. Era anche consapevole dei pericoli. Come è documentato dalla esclusiva foto gallery che pubblico a corredo di questo articolo, tratta dal suo profilo Facebook, prima che, un paio di mesi fa, le foto fossero oscurate che pubblico: lui teneva una pistola sempre attaccata ai pantaloni, anche in macchina.

La pistola che Fausto Piano aveva sempre con se'
La pistola che Fausto Piano aveva sempre con se’

 

Fausto Piano sul carro armato
Fausto Piano sul carro armato

 

Imbarchi di clandestini sui pescherecci tra Sabrata e Mellita documentati da Piano
Imbarchi di clandestini sui pescherecci tra Sabrata e Mellita documentati da Piano

 

Altri imbarchi di clandestini sui pescherecci tra Sabrata e Mellita documentati da Piano
Altri imbarchi di clandestini sui pescherecci tra Sabrata e Mellita documentati da Piano

Il suo interessarsi attivamente a certe problematiche locali, come gli armamenti, gli attentati, le bombe, gli imbarchi di clandestini sui pescherecci tra Sabrata e Mellita, i capannoni dove i clandestini si riuniscono prima di partire, probabilmente non è sfuggito ai suo stessi colleghi del posto. Che potrebbero averlo, per usare un eufemismo “segnalato”. Faceva foto, rivolgeva domande in giro, così, alla fine, forse, qualcuno ha creduto che fosse uno 007… E quindi per lui il riscatto non sarebbe bastato.
Marco Gregoretti