La vera storia dello strano sequestro di Giuliana Sgrena e della morte di Nicola Calipari

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SGRENA
Un jeppone nero blindato con i vetri oscurati percorre Al-Janub street. E’ la sera di venerdì quattro marzo.
A bordo quattro uomini armati e una donna bendata e assopita. L’automobile prosegue sicura in un buio che fa paura. Destinzione: aeroporto internazionale di Baghdad. Ma qualcosa o qualcuno cambia il programma. Il jeppone si ferma, la donna, tra voci concitate, viene fatta scendere e consegnata a un altro uomo che la fa salire a bordo di una Toyota senza vetri blindati. Giuliana Sgrena si accomoda in mezzo a due persone, uno è Nicola Calipari. Davanti ci sono l’autista, maggiore dei Carabinieri, e un quarto agente. La Toyota riparte. Poco dopo si sentono gli spari che hanno ucciso il funzionario del Sismi e ferito la giornalista del Manifesto, liberata dopo un sequestro durato un mese.
Sono le ultime sequenze del vero film sugli ultimi minuti di vita del poliziotto Nicola Calipari, lo 007 di quasi 52 anni in corsa per diventare il capo del Sismi ora diretto dal generale della Guardia di Finanza Nicolò Pollari A raccontarli a News un agente segreto di un servizio antiterrorismo della Nato (Vedere riquadro a pagina), istituito dopo l’attentato alla stazione Atocha di Madrid che costò la vita a più di duecento persone lo scorso 11 marzo. E’ giovane e italiano e per ovvie ragioni non riveliamo il suo nome. E’ lui che ha organizzato operativamente la liberazione della giornalista: «Gli uomini che sono andati a prenderla sono del mio dipartimento e operano da due anni in Iraq». Il nostro mister x è molto arrabbiato per come sono andate le cose, per un dramma che forse si poteva evitare e per quello che viene detto e scritto su quei cinque minuti di follia che sono costati la vita a «un’ottima persona». In esclusiva ci racconta la sua versione dei fatti. A cominciare da una drammatica riunione romana…
«Cinque milioni di euro. Sono usciti dalle casse riservate della Presidenza della repubblica. Però ai rapitori ne sono arrivati 3,2. Sì, 3,2, anche se nei verbali c’è scritto cinque, glielo dico con certezza. Mi chiederà dove sono finiti gli altri, che strade hanno preso un milione e ottocento mila euro, più di tre miliardi e mezzo delle vecchie lire. Questo non glielo posso dire perché non ho le prove. Ho le prove, invece, del fatto che li abbiamo consegnati ai terroristi. Un paradosso no? Fanno gli attentati organizzandosi con i soldi dei servizi segreti dei paesi contro cui mettono le bombe. Mah! Eppure eravamo a un passo dal decidere di fare un blitz. I miei erano in grado di liberare Giuliana Sgrena senza pagare un euro di riscatto. Invece nell’ultima riunione a Roma, una riunione un po’ concitata con il Sismi e altre autorità è prevalsa la linea di pagare. Qualcuno ha chiesto anche un contributo all’ambasciata americana, che però questa volta non ha tirato fuori un centesimo. A differenza di quanto è successo con le due Simona. Gli ordini sono ordini. Abbiamo studiato il piano. Dopo infinite discussioni siamo arrivati a questo: i miei uomini dovevano prelevare la Sgrena e consegnarla al dottor Nicola Calipari e a un funzionario della Cia all’aereoporto di Baghdad. I sette chilometri di strada dovevano essere percorsi a bordo del nostro fuoristrada. I soldati americani di guardia ai tre chek-point che dovevamo superare, corrispondenti ad altrettanti anelli di sicurezza antiterrorismo e antiterroristi, erano informati che la Sgrena viaggiava con noi a bordo della nostra macchina. Invece tra il secondo e il terzo anello, in una delle zone che noi stessi avevamo segnalato come tra le più pericolose, veniamo fermati dal dottor Calipari che ci chiede di consegnargli la giornalista. I ragazzi che avevano preso la giornalista in cambio dei soldi gli dicono che fino a dopo il terzo chek-point è m olto pericoloso si temeva un attentato e poi gli americani non avrebbero riconosciuto la macchina. Alla fine hanno ubbidito a quello che era comunque un ordine. Giuliano Sgrena è salita a bordo della Toyota dove, come da protocollo militare, c’erano oltre a Calipari, altri tre agenti. Due davanti e due dietro. La Sgrena si è seduta dietro, in mezzo a Calipari e ad un altro funzionario dei servizi segreti. Cinque, erano in cinque su quella maledetta macchina. Parlo solo se ho le prove: il quarto uomo c’era».
Marco Gregoretti