DOPO PATRICK DE GAYARDON – L’ ESERCITO DEGLI “ESTREMISTI”

Condividi l'articolo
  • Testata            Panorama
  • Data Pubbl.     23/04/1998
  • Numero           0016
  • Numero Pag.   80
  • Sezione            ATTUALITA’
  • Occhiello         DOPO PATRICK DE GAYARDON
  • Titolo  L’ ESERCITO DEGLI “ESTREMISTI”
  • Autore  MARCO GREGORETTI
  • Testo

Il sogno dell’ uomo volante si è schiantato alle 11.30 del giorno di Pasquetta, in un campo di banane dell’ isola di Oahu, nelle Hawaii. Patrick de Gayardon de Fenoyl, 38 anni, francese, detentore di ogni record estremo dell’ aria, è morto mentre stava facendo uno dei tanti lanci, uno dei meno estremi: il primo paracadute si è aperto male, il secondo si è attorcigliato al primo. Michael Calderon, unico testimone, ha raccontato: “Ho sentito che qualcuno in cielo stava urlando. Ho alzato gli occhi e l’ ho visto cadere”. In quell’ urlo umanissimo di un supereroe solitario, senza genitori, senza moglie, senza figli, c’ è la fine (banale, visto il personaggio) di una vita dedicata alla ricerca del limite, alla conoscenza delle proprie capacità, all’ ambizioso progetto di sentirsi tutt’ uno con la natura. E anche il dolore per non aver potuto trasmettere la gioia di volare al giovane paraplegico che gli aveva chiesto di paracadutarsi con lui. Era già stata fissata la data: lunedì 11 maggio. L’ antica sfida estrema di de Gayardon, conclusa tragicamente nonostante fosse accompagnata da un certosino impegno tecnologico e scientifico, è ora bollata dal cardinale Ersilio Tonini come “poco rispettosa della vita”. Anche perché la morte del francese è avvenuta pochi giorni dopo quella di Andrea Romanelli, scomparso in mare mentre attraversava l’ Oceano Atlantico con Giovanni Soldini. E cinque minuti dopo l’ incidente automobilistico nella gara di Formula 3, a Magione, in cui è morto Sandro Corsini, 28 anni. Allora, si è detto, cominciano a essere un po’ troppe queste disgrazie. La prima che destò grande impressione fu quella che costò ad Ambrogio Fogar la paralisi totale. Era il 12 settembre ‘ 92, quando la sua Range Rover ebbe un banalissimo incidente, a bassa velocità. Da allora c’ è stata una escalation di disgrazie parallela al crescere del numero di appassionati dell’ estremo. Dalle stragi di alpinisti sul Monte Bianco alle vittime degli elastici difettosi del “bungee jumping”, dai paracadutisti schiantatisi al Polo Nord perché si erano ghiacciati i paracadute, agli sciatori morti mentre gareggiavano con le slavine da loro stessi provocate. “Ma tutto questo” dicono alla Sector, sponsor della più nota scuderia di “estremisti” “non ha niente a che fare con la filosofia “no limits” di cui Patrick era punta di diamante. E non solo per gli spot”. Per essere dei veri “no limits” non basta praticare il volo libero, il free climbing, il rafting, l’ hydrospeed, la maratona nel deserto. La differenza la fa quello che viene chiamato “fattore Ulisse”: superare le difficoltà della vita per conoscere se stessi. Lo stesso Fogar ha ripreso questa, per lui dolorosa, ricerca. Anche Tom Whittaker, che ha una gamba sola ma sta cercando in questi giorni di scalare l’ Everest. “L’ impresa” precisano ancora negli uffici della Sector, presi d’ assalto da atleti e giornalisti che vogliono notizie su de Gayardon “deve avere valenza di ricerca e di scienza”. Per esempio quella di Maurizio Montalbini: mercoledì 15 aprile alle sette di mattina è uscito da una delle grotte di Frasassi, nelle Marche, dove si era rinchiuso per più di sei mesi. Estreme autentiche sono le vicissitudini di Peggy Bouchet, 24 anni, che sta attraversando l’ Atlantico a remi; di Tom Macnally, 58, che lo stesso percorso, da solo, lo sta tentando su una barca lunga un metro e 19 centimetri; di Barbara Brighetti, 30, che si butta in caduta libera e senza ossigeno da quasi 11 mila metri; di Giorgio Passino, 37, che scala le cascate di ghiaccio; di Carla Perrotti che attraversa il deserto a piedi; di Mike Horn, 32, che con l’ hydrospeed scende il Rio delle Amazzoni. O quelle dal sapore storico del recordman di apnea Umberto Pellizzari. A settembre sarà a Corfù per ripetere quel che fece un marinaio greco: recuperare un’ ancora a 80 metri di profondità senza respiratori. La morte di de Gayardon non fermerà il boom. E guai a parlare di rischi. Per gli eroi estremi, il “no limits” si conquista solo con meticolosa concentrazione. Anche la paura serve a non sbagliare. “Semmai” racconta Pellizzari “i rischi si corrono nelle azioni ordinarie. L’ unica volta che ho sfiorato la morte è stato in un Club Med in Martinica, nel 1993. Erano le 18. Si faceva festa in spiaggia e io mi offrii di pescare le aragoste. Scesi in apnea in una grotta. Si mosse la sabbia e non trovavo più l’ uscita. Ci ho messo due giorni a recuperare lo choc”. Dietro ai nomi famosi e “irraggiungibili” si muove un vero esercito di appassionati. Per uno che viene selezionato e trova qualche sponsor, ce ne sono migliaia che si propongono. Scrivono alla rivista No limits world o telefonano direttamente alla Sector. Se vengono scartati magari ci provano con Gatorade, Enervit o Marlboro. “Ma se non ci riescono” spiega Paolo Martinoni, presidente e fondatore della Ism, la società di comunicazione specializzata nel no limits ed ex navigatore d’ altura “lo fanno lo stesso”. E’ gente normale, ma che, come il boscaiolo freeclimber Manolo, dedica il tempo libero all’ avventura. E il trentino Maurizio Doso, 35 anni, elettrotecnico, dal ’90 partecipa a maratone estreme. Per l’ ultima, la Marathon des Sables, 230 chilometri nel deserto del Marocco a 45 gradi con lo zaino sulle spalle, ha trovato anche uno sponsor, la Ergovis. E’ pronto un nuovo spot: estremo. Ma ordinario.