Comincio qui e ora un piccolo viaggio nei miei 36 anni di giornalismo. Bassezze umane e grandezze cosmiche. Episodi a volte soft, a volte un po’ più incazzati, che cercano di raccontare senza pietà (anche verso me stesso) questo variegato mondo della stampa (e della radio, e della tv e della rete) vuoi inspiegabilmente messo sull’altare, o vuoi ingiustamente messo sulla graticola. In fin dei conti è un mondo dove tanti grandi uomini (e grandi donne) sanno anche essere davvero molto, ma molto piccoli. Ma è anche un circo dove può succedere (ed è successo) che dentro il più apparentemente insignificante dei cronisti possa nascondersi un vero eroe.
Ecco il primo episodio. Siamo nel lontano 1978, e non avevo ancora compiuto 22 anni. Così, mentre Aldo Moro era prigioniero…
Che io volessi fare il giornalista era chiaro da quando avevo sei anni. “Che lavoro farai da grande? “ Il giornalista o l’astronomo. Rispondevo secco, definitivo. Ma che il primo vero servizio, neanche a 22 anni, nel 1978, fosse il racconto di una settimana passata con un cameriere gay (allora si usavano altri termini “di genere”) conosciuto come “la Sandrina”, che lavorava in una famosa pizzeria di Trastevere, a Roma, proprio non lo avevo messo in conto. Eppure M.P. il capo della cronaca romana dell’Occhio, il giornale diretto da Maurizio Costanzo, noto soprattutto per la storia a fumetti della vita di Giovanni Paolo II pubblicata a puntate, aveva la fissa della pornografia. Un vero precursore. Aveva istituito una piccola task force: io e un altro giovane collega. Ci munì di carta, penna e alcuni questionari con colonne suddivise per titoli di giornale, di data, di ora e di sesso. Li compilammo appostandoci, per una settimana, all’interno di due edicole di Roma, a me la periferica a lui la centrale, annotando quale giornaletto porno veniva acquistato e da chi, a che ora e in quale giorno della settimana. Una statistica “amatoriale”, insomma. Ma la mission più esaltante era quella di capire se, tra chi comprava le riviste hard, ci fosse qualche personaggio particolarmente interessante, qualche storia “strana” da approfondire. Al mio collega capitò la moglie ninfomane, a me la Sandrina. Mi accorsi che per due giorni di seguito era venuto il garzone di un negozio di alimentari ad acquistare un giornale che si chiamava Doppiosenso. Lo metteva nei sacchetti della spesa, pieni, e se ne andava. Chiesi spiegazioni all’edicolante. “Le riviste sono per Sandro, un cameriere omosessuale (in realtà aveva usato un’altra parola Ndr)…”. Lo convinsi a darmi l’indirizzo e andai a bussare a casa della Sandrina, un piano rialzato con moquette rosa, tappezzeria rosa, divani rosa, padrone di casa rosa. Cioè: con ciabattine di raso rosa e vestaglia rosa. Gli feci poche domande e soprattutto, gli strappai l’assenso a rilasciarmi successivamente un’intervista più lunga (a dire il vero, qualche giorno dopo, quando si dichiarò dicendomi “pero’ sei proprio un bel pischello”, capii che a essere onesti non era stato così difficile convincerlo…). Comunque: tornai in redazione e, naturalmente, MP mi chiese di passare un’intera settimana con la Sandrina. Al lavoro, in giro e, soprattutto, la notte. Ho mangiato pizza tutte le sere per sette giorni. Il clou fu sotto il Campidoglio, dove in quegli anni (non so se capiti ancora) si incontravano le coppiette gay: funzionava un po’ come i gabinetti della stazione. Giravo per Roma con un motorino Garelli cinquanta tutto scassato, in cerca di notizie. MP volle a tutti i costi che io andassi al Campidoglio con il forografo. Io in motorino, lui in macchina. Ci trovammo a poca distanza dai cespugli dell’infrattamento omosex. Aveva un flash che era più grande di lui. Mi raccomandai di non usarlo. Lui mi rispose “A regazzì che stai a dì… Guarda un po? Mo’ sta vede che succede?” E, bam!, fece partire una flashata che sembrava fosse diventato di botto giorno… Si sentì un fruscio improvviso e crescente e saltarono fuori dai cespugli, come cavallette, una decina di coppiette che si erano appartate… C’era anche la Sandrina… Urla, insulti!!! Per la gioia del paparazzo che scattava a più non posso. Ci interruppe un boato. “Questa è una bomba” gli dissi. Saltai sul motorino e mi misi dietro alle volanti della Polizia, più che altro cercando di seguire le sirene, visto che il Garelli a cinquanta all’ora vibrava come se dovesse esplodere da un momento all’altro. In effetti un gruppo di terroristi aveva fatto un attentato all’Ambasciata francese, a Palazzo Farnese. Due servizi in uno. Figata! MP, naturalmente, era più interessato al fuggi fuggi dai cespugli del Campidoglio. D’altronde nel 1978 scoppiava una bomba al giorno. Quindi, MP appunto, insistette sul filone del porno. Così, dopo che ebbi consegnato il pezzo con il racconto dei giorni con la Sandrina, mi diede una macchinetta fotografica minuscola (una Pentax), ma che aveva le capacità di una potentissima reflex ed era dotata di un teleobiettivo lunghissimo e strettissimo. La sua idea era che io rispondessi agli annunci delle coppie di mariti e mogli in cerca di emozioni con giovani ragazzi, pubblicate dalle varie rubriche di Fermo posta sulle riviste pornografiche. E poi avrei dovuto cercare di fotografare di nascosto tutto quello che succedeva. “E se non succede nulla?” gli chiesi. “La notizia si crea Marco, ricordati, la notizia si crea…”. Quando chiuse l’Occhio, M.P. diventò un caporedattore di un importantissimo quotidiano nazionale, io quel consiglio (la notizia si crea), però, ho sempre cercato di non seguirlo. Ho capito che, quantomeno, non andasse preso alla lettera. Nel mio personale decalogo è finito nell’elenco delle cose che NON si devono fare. Quel servizio da porno infiltrato, comunque, non lo feci. Anche se il tema fu poi una costante nella mia carriera giornalistica: in tutti i giornali e tv in cui ho lavorato, non ho mai capito perché, oltre al compito ufficiale di giornalista di inchiesta e investigativo, ho sempre avuto quello di esperto in questioni di sesso. Ho scritto decine e decine di articoli (e perfino un libro) su pornostar, scambisti, sesso e giovani, prostituzione… Ognuno ha il suo Karma
Marco Gregoretti