4 maggio 2020. Quasi una festa della liberazione: dopo 40 giorni Giuseppe Conte ci permise di uscire di casa

L'ex presidente del consiglio Giuseppe Conte e il suo portavoce Rocco Casalino durante la quotidiana angosciante conferenza stampa sulle restrizioni
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La famosa immagine delle forze dell’ordine che sanzionano una persona che prende il sole in spiaggia

Un incubo. Un’angoscia che ci ha segnato per sempre. Il quattro maggio 2020, dopo 40 giorni tappati in casa, senza poter neanche allontanarsi dalla propria abitazione di pochi metri, Giuseppe Conte e il suo fedelissimo megafono Rocco Casalino, ci permisero finalmente di fare due passi. Ho ancora l’emotività strabordante per potere raccontare con un adeguato linguaggio giornalistico “british”, quel che successe. E che poi, purtroppo, si ripresentò amplificato. Un presidente del consiglio che usava dire, ogni giorno alla consueta conferenza stampa situazionista: “Vi consentiremo…”, ambulanze che senza sosta facevano da colonna sonora alle nostre giornate, medici di base isterici che (è successo a me) consigliavano di mettere la mascherina anche mentre si dormiva, di notte, persone che fotografavano dal terrazzino chi faceva uscire il cane due volte al giorno, urlando improperi, poliziotti che inseguivano papà e figlio in una spiaggia deserta perché erano usciti a farsi due passi, giovani sposini multati perché si trovavano per mano una cinquantina di metri oltre…
Terapia intensiva durante la fase più drammatica della pandemia

Virologi in tv. Al centro Massimo Galli, simbolo della linea più restrittiva

Il libro nero del Coronavirus, scritto dai giornalisti Giuseppe De Lorenzo e Andrea Indini

Le terapie intensive drammaticamente piene, i morti, i tanti morti uccisi da un virus misterioso e da protocolli ministeriali un po’ compulsivi e, forse, non proprio adeguati (tachipirina e vigile attesa), amici volati in cielo per colpa di paradossali errori, come successe al mio amico Bruno, come dimenticarsi che il paziente c era diabetico, aveva un grave tumore e il by pass. Morì, da solo, in ospedale. E la famiglia lo seppe casualmente perché qualcuno telefonò al medico di turno: “Come sta Bruno?”. “È morto signora. Ieri. Lo abbiamo già crenato”. E le ceneri? Chissà. Poi arrivò il quattro maggio. L’estate sembrò normale. Invece, il peggio, storditi dalle arroganze governative e dalle estenuanti maratone televisive dei virologi, ma anche dalle fake news elaborate con scientifica accuratezza (indimenticabili gli audio di fantomatici infermieri che dicevano il Covid non esiste…) doveva ancora arrivare. E chissà se, tra una guerra e un vaccino, sia finita qui
Marco Gregoretti