Delitto di via Poma. Dal mio dossier un documento esclusivo! Quanti pasticci con il Dna. Hanno sbagliato anche gli investigatori. Chi indaga legga qui e rifaccia i controlli. Magari troverete finalmente l’assassino di Simonetta Cesaroni, 20 anni, uccisa con 29 coltellate in ufficio nel tardo pomeriggio del 7 agosto 1990

Dna dell'assassino? Campione n°2
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Simonetta Cesaroni, 20 anni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto 1990, nel tardo pomeriggio, mentre si trovava in ufficio, in via Poma, a Roma
Il 99,7% del DNA umano è lo stesso per tutti gli individui: l’identificazione di uno di loro avviene esaminando il restante 0,3%. In particolare ricorrono spesso, nelle analisi di genetica forense, 16 zone del DNA, dette “loci”, ognuna delle quali contiene una coppia di molecole complesse, molecole dette “alleli”, e che differiscono da un individuo all’altro. È naturalmente possibile che due individui abbiano, nello stesso locus, la stessa coppia di alleli; ma, quando vengono presi tutti insieme, questo diventa impossibile. È come se i 16 “loci” fossero i 16 caratteri del Codice Fiscale: presi singolarmente servono a poco, presi tutti insieme formano un codice diverso per ogni persona.

I 16 loci sono stati scelti non solo per la variabilità che presentano, ma anche per la facilità con cui reazioni chimiche particolari possono evidenziare gli alleli che contengono: i programmi che gestiscono l’analisi forniscono dei grafici, detti “ferogrammi”, sui quali appaiono dei picchi in corrispondenza degli alleli trovati. Infatti, gli alleli che si trovano nei “loci” altro non sono che catene di molecole meno complesse, che vengono numerate a seconda di quanti “anelli” le compongono. Nei ferogrammi, un picco in corrispondenza di un certo numero (per ogni “locus”) è tanto più alto quanto più numerosi sono gli alleli che presentano proprio quel numero di “anelli”. Mettiamo quindi che Amedeo, il cui profilo DNA contiene gli alleli 10 e 15 in un certo “locus”, tocchi un oggetto: vi lascerà sopra delle cellule, che conterranno il suo DNA, e le reazioni chimiche volte a evidenziare il contenuto di quel certo locus troveranno tanti alleli 10 e 15 (ogni cellula = una coppia di alleli). Se anche Biagio, che presenta nello stesso locus gli alleli 11 e 14, ha toccato l’oggetto, l’analisi evidenzierà gli alleli 10, 11, 14 e 15: la coppia di picchi più alti indicherà un maggior numero di cellule, quindi un contatto più intenso, e oltre a identificare con sicurezza sia Amedeo che Biagio si potrà anche capire chi dei due ha avuto, con l’oggetto in questione, il contatto più significativo.

Facciamo un esempio. Nella figura sottostante, relativa a un indumento di Simonetta Cesaroni, si osserva il ferogramma relativa al locus chiamato “TH01” (tutti i loci hanno nomi decisamente astrusi):

Sono ben visibili due coppie di picchi, due molto alti, in corrispondenza degli alleli numero 6 e numero 8, e due più bassi, in corrispondenza degli alleli numero 9 e numero 10. I primi due appartengono al profilo di Simonetta, gli altri due al profilo del suo ragazzo, Raniero Busco. È quindi evidente che entrambi sono venuti in contatto con questo indumento, ma Simonetta molto di più (infatti lo indossava, e lo avrà indossato altre volte).

E il quinto picco, quello piccolo situato tra i due picchi di Simonetta? Che evidentemente corrisponde all’allele numero 7?

Il quinto picco appare perché ci sono dei problemi. Le tracce presenti su questo indumento, infatti, non appartengono solo a Simonetta e a Raniero Busco, ma a molte altre persone, che vi hanno dato contributi piccoli e tuttavia non trascurabili: i genitori di Simonetta, la sorella, gli amici, forse anche i commessi del negozio dove l’indumento è stato acquistato, le persone che hanno trasportato il corpo della ragazza e probabilmente, nonostante le precauzioni impiegate, anche qualcuno tra coloro che hanno effettuato un’infinità di analisi negli anni successivi. E poi, naturalmente, potrebbero esservi degli alleli appartenenti all’assassino.

La situazione mostrata sopra si ripete, pressoché identica, in tutti i loci, e poi su tutti i reperti: gli indumenti di Simonetta, le tracce di sangue all’interno e all’esterno dell’ufficio, ed è una delle ragioni che hanno impedito di individuare l’assassino. Raniero Busco, il cui DNA compare abbastanza chiaramente sugli indumenti di Simonetta, non ha infatti il gruppo sanguigno “A”, trovato sin dai primi giorni nelle macchie di sangue analizzate sulla scena del crimine, e che indicano come l’assassino debba essersi ferito, forse maneggiando con troppa foga l’arma usata per pugnalare 29 volte la povera ragazza. Busco, di gruppo sanguigno “0”, non può quindi essere l’assassino, e con lui molti altri sospetti, tra cui alcuni che “vanno molto di moda”, vanno esclusi. Chi è dunque l’assassino? È possibile ricavare qualcosa dalle analisi del DNA?

Dare una risposta a queste domande non è facile. I RIS sostengono, con ostinazione degna di miglior causa, che sugli indumenti di Simonetta ci siano solamente i DNA della ragazza e di Raniero Busco, e ritengono che i moltissimi alleli in più che compaiono nelle loro analisi siano dei falsi positivi, ignorando sia la capacità dei loro stessi software di ignorare direttamente le situazioni dubbie, sia il fatto che il numero di questi alleli è esorbitante e indica chiaramente la presenza di altri contributori piuttosto che di errori nell’analisi. La stessa conclusione – ci sono altri contributori – è infatti stata raggiunta dai periti che in Appello hanno esaminato le analisi dei RIS, e le hanno smontate da cima a fondo, come già era accaduto (stavolta ad opera di una genetista spagnola) per le analisi compiute sulle macchie di sangue, e questo prima ancora che si arrivasse a processare Busco.

L’errore commesso dai RIS, in sostanza, è solamente quello di aver creduto che nella tracce fossero presenti solo il DNA della vittima e quello dell’assassino, cosa che in realtà si verifica solo in condizioni ideali; purtroppo, in mancanza dei cosiddetti “raw data”, cioè i dati originali ricavati dall’analisi (tuttora in possesso dei RIS e mai richiesti dalla difesa, che non ha contestato la presenza del DNA di Raniero Busco sugli indumenti della vittima), è possibile, a posteriori, esaminare solo i ferogrammi: tutto ciò che se ne può ricavare andrebbe verificato servendosi appunto di questi “raw data”. Come se non bastasse, quasi tutte le analisi sono inutilizzabili: le macchie di sangue sulla porta e sulla maniglia della stanza in cui fu ritrovato il corpo presentano senza dubbio un’infinità di profili, per ognuno dei quali resta solo qualche allele (parliamo infatti di due oggetti che saranno stati toccati da molte persone ogni giorno per chissà quanto tempo); gli indumenti di Simonetta analizzati sono due: il corpetto e il reggiseno. Ma il primo è stato analizzato solo nella parte anteriore, come si vede dalla foto in basso,

mentre l’assassino lo ha toccato solo nella parte posteriore o al limite sui bordi, come invece si vede dalla foto che lo mostra adagiato sul corpo di Simonetta (il corpetto è slacciato, con i bottoni che toccano il pavimento):

 

 

Per questo motivo le sole analisi di qualche interesse sono quelle relative al reggiseno, specialmente in corrispondenza della coppa sinistra, la cui spallina sembra sia stata manipolata, non da Simonetta, e nelle cui vicinanze si trova quello che per molti è il segno lasciato da un morso (ma probabilmente non è così), comunque opera dell’assassino:

Il “campione” di interesse è quello indicato come “Campione 1°”, anche se non è esattamente situato sulla spallina; se in effetti vi fossero tracce dell’assassino, queste saranno quasi trascurabili, ma probabilmente ancora rilevabili. Quello che verrà fatto nelle prossime pagine è appunto far notare come esista la possibilità di scoprire l’identità dell’assassino, se solo ci si dimentica dell’ipotesi formulata dai RIS: che solo Simonetta e Raniero Busco abbiano lasciato il loro DNA sui campioni in esame.

 

Innanzitutto, questi sono i ferogrammi relativi al cosiddetto “campione 1”, con le indicazioni del software usato dai RIS, che vengono riportati integralmente così da non lasciare dubbi in chi volesse approfondire le considerazioni che seguiranno.

Qui sotto viene poi riportata una tabella riassuntiva degli alleli, così come sono stati indicati dal programma utilizzato dai RIS, e come si può anche verificare esaminando i ferogrammi:


Tuttavia, volendosi fidare di quanto appare sui ferogrammi (di certo attendibili) più che delle indicazioni del software, è possibile aggiungere degli altri alleli, che sembrano presenti ma non sono stati individuati dal programma, altri ancora che potrebbero essere presenti ma non visibili per via della bassa risoluzione delle immagini, e infine tutti quelli che senza dubbio non sono presenti.

Di seguito si riporta la cosiddetta “ladder” fornita col software di analisi: è uno schema che mostra la posizione di tutti gli alleli conosciuti e consentirà a chiunque fosse interessato di confrontarlo con i ferogrammi e verificare la presenza/assenza di quegli alleli a cui si è accennato prima e che vengono riassunti nella tabella successiva.

Cosa si può ricavare da questi dati? Ricordiamo che i RIS hanno avuto a disposizione, oltre alle tracce di cui si è discusso in precedenza, i profili di 31 (in realtà 30) “sospettati”, vale a dire una serie di amici e conoscenti della ragazza, tutti di sesso maschile: persone che in teoria avrebbero potuto commettere l’omicidio. Pur senza riportare per esteso questi profili (sarebbe una violazione della privacy) si possono esporre le conclusioni a cui si giunge dopo averli messi a confronto con le tabelle trascritte più sopra.

 

  • Il profilo DNA di Simonetta è presente, con tutti gli alleli e con picchi molto alti.
  • Il profilo DNA di Raniero Busco è presente, con tutti gli alleli, e con picchi abbastanza bassi.
  • Esclusi gli alleli appartenenti a questi due profili, ne “avanzano” ben 16 (molti di più contando anche quelli probabili), un po’ troppi perché siano tutti dei falsi positivi. Di che si tratta? Esaminando i profili degli altri 29 “sospettati” si vede che il numero medio dei loro alleli, esclusi quelli in comune con i profili di Simonetta e di Busco, è di 13. Ma dei 16 che “avanzano” nella traccia solo 4 o 5 sono bene evidenti: troppo pochi per appartenere a un profilo specifico. Sono probabilmente gli alleli che ricorrono più spesso in quei profili, frutto di quei contatti più o meno casuali ai quali si è accennato prima, dei quali restano alcune tracce. Infatti questi 4 o 5 alleli sono molto comuni, con una sola eccezione: l’allele 10 nel locus D5S818, che è raro. Ma l’esame dei ferogrammi fa capire che questo allele potrebbe essere un falso positivo (il suo picco appare un po’ prima della sua posizione teorica).
  • Una volta escluso Raniero Busco, se si contano le coincidenze nei profili degli altri 29 “sospettati” si vede che due di loro ne hanno 28 (su 30), tre ne hanno 27, cinque ne hanno 26 e così via. Nessuno le ha tutte, e nessuno ne ha molte più di tutti gli altri. Perché questo? Perché, tra gli alleli lasciati da Simonetta, quelli lasciati da Busco e quelli lasciati dai molti sconosciuti entrati casualmente in contatto col reggiseno e ai quali si era accennato prima, sono presenti quasi tutti gli alleli più comuni, ed è quindi normale che molti profili presentino molte coincidenze.
  • Questo non significa che non sia possibile arrivare a una conclusione importante, servendosi degli alleli sicuramente NON presenti: ciascuno di questi alleli, infatti, permette di escludere diversi sospettati. Per esempio, la mancanza dell’allele numero 8 nel locus D8S1179 permette di escludere coloro che lo hanno nel loro profilo, vale a dire Pietro e Mario Vanacore; la mancanza dell’allele 9 nel locus D13S317 permette di escludere i due Vanacore (nuovamente), come pure l’altro portiere, Nicolino Grimaldi, il contabile dell’AIAG Luciano Menicocci, l’ex dipendente dell’AIAG Riccardo Sensi, il fratello di Federico Valle, Filippo, e infine l’amico di Simonetta Massimo Iacobucci. E così via.
  • Una volta esauriti gli alleli sicuramente non presenti ed esclusi tutti quei sospettati che li hanno nel loro profilo, la conclusione a cui si giunge è sorprendente: rimane un unico profilo, che corrisponde ad una persona che conosceva Simonetta ed è di gruppo sanguigno A, come quello dell’assassino.
  • La presenza di questo profilo è confermata da due considerazioni aggiuntive:
  • Tra gli alleli trovati nel c.d. “campione 1” ve ne sono pochissimi che si ritrovano al massimo due volte nei profili dei 29 “sospetti” (alleli “rari”); il profilo di questa persona ne contiene ben due.
  • Prendendo in esame gli alleli del profilo di questa persona che ricorrono pochissime volte tra i 29 “sospetti” (partendo dai due alleli “rari” menzionati prima) e che quindi, se effettivamente presenti, solo questa persona può aver lasciato nel c.d. “campione 1”, le altezze dei relativi picchi sono coerenti tra di loro (circa 1/20 rispetto ai picchi lasciati da Simonetta), cosa che ne conferma l’origine comune.

Questo non significa che la persona in questione sia proprio l’assassino; prima di arrivare a questa conclusione bisognerebbe almeno esaminare i “raw data” per migliorare la risoluzione dei ferogrammi e capire con un buon livello di certezza se in effetti gli alleli non segnalati dal software ma dati per presenti lo siano realmente, e analogamente se in effetti gli alleli dati per sicuramente assenti lo siano per davvero.

 

Inoltre sarebbe bene effettuare nuove analisi, mirate, sul retro del corpetto e sulla bretella del reggiseno: il c.d. “campione 1”, come si era già fatto notare, è infatti l’unico dove può esserci qualche traccia dell’assassino, mentre diverse altre dovrebbero esserci proprio in quelle zone che i RIS non hanno esaminato.

Nonostante tutto, è ancora possibile che dopo 32 anni gli indumenti di Simonetta possano dirci qualcosa!