Certo, il Nilo non è il Tamigi. O meglio: il Tamigi non è il Nilo. Però Maestà, che fastidio quel rapporto così privilegiato tra l’Italia e Al Sisi, come ai tempi di Gheddafi. Bisogna fare qualche cosa. L’ombra efficiente del Mi6, la gloriosa intelligence britannica, si allunga sempre più sulla morte dell’agente dell’Aise, (il servizio segreto italiano che si occupa di estero) Giulio Regeni. “Gli inglesi” mi dice chi ha appurato questa ipotesi “in Egitto hanno giocato sporco come in Libia. Soltanto che lì c’erano anche i francesi. A Londra non vogliono che si mantenga il canale aperto tra il nostro governo e Al Sisi, soprattutto in vista della guerra in Libia, che prima o poi ci sarà”. Quel che è successo al Cairo ha il ritmo e la suspense di un giallo di un grande romanziere alla John Le Carré. Regeni era un operativo della nostra intelligence, ma non nel senso degli interventi armati o di azione fisica, la sua operatività era di tipo informativo. “Era un uomo molto intelligente, serio e a modo. ma, contrariamente a quanto si potrebbe evincere dalle fotografie con il gattino, anche preparato fisicamente”.
In effetti, a quanto risulta al blog, ha reagito, lottando in maniera determinata, all’arresto, ma è stato sopraffatto numericamente. Che c’entra l’Mi6? Tutto, o quasi. Le Università britanniche sono terreno fertile dei servizi segreti inglesi: sono una delle coperture maggiormente praticate. E a quella di Cambrige, una delle più prestigiose, era collegato Regeni. Ed è proprio da lì che il suo contatto, la professoressa Maha Abdelharam, esperta di Medio Oriente, interrogata in questi giorni dal pm Sergio Colaiocco (che ha sentito anche il professor Gennaro Gervasio, l’uomo che la sera del 25 gennaio diede l’allarme della scomparsa di Regeni), gli chiese di approndire le informazioni sui sindacati e sui Fratelli Musulmani. insomma, l’ Mi6 avrebbe usato l’Università di Cambrige con una doppia finalità: avere il materiale e sapere che cosa era a conoscenza dei servizi italiani: Regeni, pensando di avvalorare la copertura, infatti, mandava una copia a Cambrige, senza sapere che in realtà era una trappola inglese, e una all’Aise. Regeni aveva anche ricevuto una precisa scaletta di notizie che doveva trasmettere all’ateneo inglese. Un documento molto importante che in questo momento dovrebbe essere nelle mani del Ros, il raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri.
“Mukabarat è un servizio segreto diviso in tre servizi che non comunicano tra loro” continua il mio interlocutore “In più in Egitto ci sono alcuni generali che si oppongono ad Al Sisi. Per l’intelligence britannica, geniale in questo tipo di operazione, il gioco è stato facile. In un Paese dove il livello di corruzione è piuttosto alto, l’Mi6 non ha avuto problemi a mettere al proprio soldo un paio di agenti di Mukhabarat e a fargli fare il lavoro sporco”. Dunque il Presidente egiziano davvero non sapeva nulla. Tant’è che il cadavere è stato ritrovato dopo il suo intervento. Ma il contesto era perfetto per creare un problema serio tra l’Egitto e l’Italia. “C’era la visita del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, si stavano prendendo importanti accordi economici e, soprattutto, militari in vista della guerra”.
L’Mi6 teneva d’occhio Regeni da tempo. E sapeva benissimo che era un agente segreto italiano. D’altronde, Regeni stesso ne diede indirettamente conferma quando, l’11 dicembre, partecipando a una assemblea sindacale, disse di essersi accorto che qualcuno lo stava fotografando. Erano i giorni in cui da Cambrige gli avevano chiesto gli approfondimenti di ricerca. Quindi, ricapitolando, Regeni è stato prelevato da due persone di Mukhabarat che lo hanno torturato per avere informazioni su quanto ancora non aveva relazionato della sua ricerca (sul sindacato degli autotrasportatori, per esempio) e poi l’hanno ucciso e mutilato facendo ritrovare il cadavere il 3 febbraio, con lo scopo di creare un incidente tra il nostro Paese e l’Egitto di Al Sisi. E l’Aise? Risponde il mio informatore: “L’Aise gioca, questi no, questi uccidono. Il problema è che ognuno di noi all’estero, con i servizi segreti che abbiamo, è un Regeni in pericolo…”. Perfetto, anzi no, perfetto proprio per nulla. Ma, allora, che cosa bisognava fare secondo lei? “Catturare il primo loro spione in Italia, tanto si conosce l’elenco, e far capire che non era aria. Secondo me, inglesi o non inglesi, ci avrebbero restituito Regeni in un batter d’occhio. Queste sono operazioni che si sono sempre fatte sul campo. Ma oggi, sul campo chi c’è?”.
Marco Gregoretti