CREDITI PERICOLOSI: TRUFFATORI E CONTENTI

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  • Testata           Panorama
  • Data Pubbl.    19/12/1996
  • Numero          0050
  • Numero Pag.   0039
  • Sezione           STORIA DELLA SETTIMANA
  • Occhiello        CREDITI PERICOLOSI STORIE DI COLPACCI E COLPETTI
  • Titolo  TRUFFATORI E CONTENTI
  • Autore            MARCO GREGORETTI
  • Testo

CREDITI PERICOLOSI. Banca padrona. Banca cattiva. Banca ingiusta. Banca odiata. A chi non è capitato di imprecare contro gli interessi ricevuti, ritenuti troppo bassi, e quelli da pagare sui fidi, troppo alti? O di prendersela con l’ impiegato che telefona per sollecitare la veloce copertura di un rosso, magari per cifre ridicole rispetto ai normali versamenti? E quanti, riagganciando il ricevitore, sono riusciti a trattenere la rabbia e a non abbandonarsi a sfoghi del tipo: “Hanno soldi a bizzeffe e se la prendono con me per poche migliaia di lire”? Dal comune mortale l’ istituto di credito è visto come un colosso che ha potere di vita e di morte sul suo conto corrente. Come una fortezza inespugnabile difesa da un esercito di gnomi occhiuti e vessatori. Ma c’ è una particolare categoria di persone che, sebbene ai limiti della legge, se non fuori del tutto, quegli gnomi riesce a gabbarli. Chiamiamoli finanzieri spregiudicati, faccendieri o, meno eufemisticamente, truffatori. Insomma, quelli che sono riusciti, con trucchi più o meno sofisticati, a mettersi in tasca il denaro delle banche. E che spesso hanno nascosto il maltolto con tanta abilità da impedire che fosse provato. Per esempio sono in molti, magistrati, dirigenti di banche, investigatori, a chiedersi che fine abbiano fatto quegli oltre 3 mila miliardi che, attraverso la Sasea, l’ eclettico finanziere Florio Fiorini, soprannominato “il lavandaio di Ginevra”, avrebbe ottenuto dalle banche. Quando Fiorini scivolò sulla classica buccia di banana, un investitore che reclamava 10 miliardi, e fu arrestato con l’ accusa di truffa, i periti non trovarono una lira. Non poterono pignorare i mobili della società perché erano stati comprati in leasing. I sistemi escogitati dal “lavandaio”, che già ai tempi del Banco ambrosiano si era distinto per aver tentato di salvare la banca di Roberto Calvi con i soldi dell’ Eni, di cui era direttore finanziario, erano diversificati a seconda del tipo di affare. Dai proventi ottenuti in cambio di azioni Sasea sopravvalutate all’ acquisto sottocosto, sempre tramite Sasea, di aziende in difficoltà per le quali, poi, alle banche creditrici offriva il 40 per cento del credito: prendere o lasciare. E di solito era prendere. In un verbale inedito, lo stesso Fiorini ha raccontato al magistrato che gli chiedeva dei rapporti con la Banca popolare di Novara: “Perché queste operazioni abbiano successo occorre che almeno una delle banche creditrici accetti l’ offerta. La Bpn era la banca che accettava per prima le offerte Sasea e, in questo senso, era il cavallo che tirava gli altri istituti di credito. La Bpn era per Sasea un partner abituale in queste operazioni perché non recuperava soltanto il 40 per cento, come le altre banche, ma anche il residuo 60 per cento che Sasea versava a una sua controllata svizzera, la Teliber Sa…”. Insomma, Fiorini incassava, la Bpn salvava il suo credito, tutte le altre pagavano il conto. Più diretta l’ azione di Gianfranco Parretti, l’ ex cameriere per un po’ padrone della Mgm. Intanto convinse lo stesso Fiorini a mettersi in società con lui per la scalata al colosso cinematografico americano. Poi, visto che liquidi per un’ acquisizione da migliaia di miliardi non ce n’ erano, escogitò uno stratagemma: farsi finanziare in anticipo, comprare l’ Mgm e rivenderla a pezzi. Il Crédit Lyonnais fornì la copertura finanziaria. Ma l’ operazione fallì e la banca francese perse 1.500 miliardi. Un omologo londinese di Fiorini e Parretti è riuscito addirittura a bidonare la Barings, la banca di sua maestà britannica. Nick Leeson, 28enne di bell’ aspetto e di ancor più belle speranze, alto e stimato dirigente della Barings, dal suo piccolo ufficio di Singapore aveva a lungo impostato operazioni sempre più azzardate, con alti guadagni e scatti di carriera. Intratteneva relazioni con molti uomini d’ affari in mezzo Sud-est asiatico. Li coinvolgeva nelle speculazioni inviando loro perfetti fax, su carta intestata e con tanto di firma del direttore, con i quali assicurava la totale copertura da parte della banca. Una stupenda opportunità per chi pensava di aver fatto qualche acquisto di titoli un po’ troppo rischiosi. Soltanto che quei fax erano falsi: alla Barings non ne sapevano nulla. Quando Leeson ha cominciato a registrare le prime ingenti perdite, è stato costretto a rilanciare per tentare di ripianare gli ammanchi. Alla fine il buco è diventato spaventoso e alla Barings è arrivato il conto: 1 miliardo e mezzo di dollari. Leeson è finito in galera. E la sua storia si annuncia come un best-seller: è uscito il libro di memorie intitolato Rogue trader, più o meno Il finanziere farabutto. C’ è anche un variegato mondo di ingegnosi piccoli truffatori che preferirebbero restare nell’ ombra. Ci sono gli specialisti delle truffe col Bancomat: agiscono sempre nei giorni festivi e prefestivi perché gli uffici delle banche sono chiusi. Ci sono gli artisti degli assegni a vuoto e quelli che riescono a truffare le banche con sistemi da 007: deviando la linea telefonica di un funzionario di banca e sostituendosi quindi a lui per autorizzare operazioni illecite. Un altro fronte in cui abbondano le truffe è quello dei titoli. Rubati oppure perfettamente falsificati, possono servire, Phoney money insegna, a realizzare illegalmente guadagni colossali. E’ il caso di un gruppo di insospettabili, tra cui un docente milanese di economia, due commercialisti di Roma e un manager di Curno, scoperto un anno fa dai carabinieri di Genova: avevano una quantità impressionante di titoli rubati alla Banca di Roma. Servivano da garanzia per ottenere liquidi da capogiro da altre banche. C’ è anche chi si è messo d’ accordo con i periti per gonfiare il valore di alcuni immobili: da 700 milioni a 15 miliardi. Poi ha comprato un’ azienda in crisi specializzata nella produzione di fili di rame dove si faceva inviare fax con ordinativi falsi ma compilati in maniera molto professionale. Grazie alla perizia e ai fax è riuscito a ottenere da due importanti istituti di credito di Torino un fido di quasi 6 miliardi. Quindi, in pochi mesi, ha dichiarato il fallimento della fabbrica. E i terreni a garanzia del fido valevano solo 700 milioni… Il torinese Stefano Iegiani, 25 anni, capocassiere di una filiale della Cassa di risparmio di Torino, si è accontentato, invece, di 3 miliardi. Il 9 dicembre di due anni fa svanì nel nulla con la somma sottratta alla Crt. Aveva, in sostanza, trasferito i depositi di alcuni clienti dal loro conto al suo, eludendo i consueti controlli. Dopo aver fatto un po’ di bella vita, mentre sua moglie Mirella Di Rosa lanciava appelli dalla trasmissione televisiva Chi l’ ha visto? il 2 aprile ‘ 96 è stato arrestato ed è in attesa di giudizio. Lui si difende dicendo che alcuni malviventi lo hanno costretto a rubare. Pochissimi gli credono. Ma, quando uscirà dal carcere, ci sarà qualcuno a tenerlo d’ occhio per vedere dove ha nascosto il gruzzolo? Tanto la Crt mica fallirà per 3 miseri miliardi. O no?