Altre due o tre cose su Sergio Marchionne. Quanto è ruvido quel maglione/ 2

Condividi l'articolo

Sergio Marchionne – Ecco il secondo capitolo della biografia non autorizzata di Sergio Marchionne che scrissi nel 2009 per un editore di giornali economici: si racconta del primo grande salto di qualità dell’ad di Fiat Spa. Quello che lo portò dal Canada alla Svizzera.
(MG)

Fermi tutti
Sergio Marchionne

Dal Canada alla Svizzera

Se le scelte di Concezio Marchionne, papà di Sergio, avessero seguito strade diverse da quelle poi praticate, chissà quale sarebbe stata la vita dell’uomo che sta salvando l’auto in tutto il mondo. Il maresciallo maggiore dei Carabinieri, infatti, quando arrivò in Canada e si stabilì nel quartiere di North York, periferia di Toronto, aveva intenzione di aprire un’agenzia di viaggi. E allora, chissà, il figlio, che aveva così alto il senso della famiglia, sarebbe diventato un grande tour operator. Ma la storia, come si sa, non si fa con i se e con i ma. E poi Concezio Marchionne abbandonò quell’idea. Anche se, volendo fare una forzatura freudiana, qualche cosa di quel progetto appena abbozzato deve essere arrivato al figlio Sergio: la vita di quel ragazzo che diventerà l’amministratore delegato della Fiat è stata subito molto itinerante. Ha cominciato a viaggiare per lo studio, poi per il lavoro. E ancora non ha smesso. I suoi collaboratori dicono che i viaggi è in grado di organizzarseli molto bene anche da solo. Non lo fa perché non ha tempo. E se lo dice lui c’è da credergli. L’ottimizzazione dell’orologio è sempre stata una delle sue specialità. Tra il 1978 al 1987 si è preso tre lauree, un Mba, è diventato commercialista e procuratore legale. Dopo la laurea in filosofia a Toronto, ottenuta mentre aiutava economicamente i genitori lavorando part-time presso una banca, nel 1979 si laureò in economia presso l’Università di Windsor e nel 1983 in legge presso la Osgoode Hall Law School di Toronto. Nel 1985 diventò dottore commercialista, frequentò un Mba (Master in business administration) all’Università di Windsor e infine nel 1987 cominciò a lavorare come procuratore legale e come avvocato nella regione dell’Ontario. «Era uno studente serio e ambizioso» ricorda il professor Ross Johnston che era stato suo docente all’università di Windsor «ma non avrei mai pensato che avrebbe fatto così tanta strada».

 

Sergio Marchionne con Barak Obama
Sergio Marchionne con Barak Obama

Al servizio del raider

E invece si trovò subito a lavorare con i numeri. Tra il 1983 e il 1985, alla Deloitte & Touche come commercialista si occupava dell’area fiscale. Nel 1985 passò alla Lawson Mardon Group di Toronto, big del packaging industriale. Ci restò per tre anni, fino al 1988, prima con la funzione di Controller del Gruppo poi in qualità di Director dello sviluppo industriale. Ma la sua ascesa passerà di nuovo per quegli uffici dove si progettavano gli imballaggi. Per un anno, tra 1989 e il 1990, fu Executive Vice President della Glenex Industries, sempre a Toronto. A quel punto anche il professor Johnston avrebbe capito che il suo ex allievo era destinato a bruciare le tappe. Un emigrante italiano, figlio di un carabiniere abruzzese e di una profuga giuliana, a 37 anni, dopo essersi preso tre lauree e un Mba era già diventato Executive Vice President di una media azienda. Prima o poi avrebbe fatto quel salto di qualità che tutti i manager sognano. Puntuale nel 1990 arrivò l’offerta della Aklands Ltd, una società di componentistica per auto: responsabile per la finanza e chief financial officer. La Aklands era di K. Rahi Sahi, un immigrato indiano arrivato in Canada negli anni Settanta, che aveva fatto fortuna con la Paros Enterprises dell’Ontario, una finanziaria che non andava tanto per il sottile, al punto da far guadagnare a Sahi la fama di raider spregiudicato. Il suo giochino preferito era quello di rastrellare azioni di società in difficoltà assumendone il controllo manageriale: dopodiché le smembrava, vendeva tutte le parti non strategiche avviando nello stesso tempo drastiche manovre di taglio dei costi, per farne risalire le quotazioni di Borsa. A quel punto poteva vendere i suoi titoli incassando ricche plusvalenze alle quali partecipavano anche i manager che aveva scelto con il criterio infallibile della fedeltà. Fedeltà puntualmente ripagata da una pioggia di opzioni.
Rahi Sahi glissa sulla legittima curiosità se Marchionne avesse guadagnato la sua fiducia. Ma tutto lascia pensare che sì, l’ad di Fiat, nei due anni in cui lavorò alla Aklands Ltd, fosse molto apprezzato dal finanziere indiano. Che, in una recente intervista al Sole 24 ore, descrive Marchionne come un abilissimo dealmaker, un manager molto qualificato e uno stakanovista: «Un workaholic» dice Sahi. «Grazie all’operato di Sergio» racconta l’allora proprietario della Aklands, «l’azienda era passata in pochissimo tempo da 300 milioni a un miliardo di dollari di fatturato, era cresciuta molto e aveva centrato 20 o 30 acquisizioni». Il futuro capo della Fiat affinò in quei due anni l’arte della trattativa. L’imprenditore indiano che lo ebbe tra 1990 e il 1992 alle sue dipendenze era colpito soprattutto dalla facilità con cui Marchionne riusciva a mettersi nei panni della controparte. Una dote decisamente orientale, davvero rara in un manager di cultura occidentale. «Dai dipendenti» racconta oggi Sahi «si faceva rispettare con la sua forte personalità. Ma era anche molto rispettato per il suo talento». L’exploit alla Aklands fece venire l’acquolina in bocca alla Lawson Mardon che decise di richiamarlo con una proposta a quanto se ne sa difficilmente rifiutabile. In due anni, dal 1992 al 1994, ricoprì prima la carica di responsabile per lo sviluppo legale e aziendale e poi quella di chief financial officer. Era già allora tra i pochi manager al mondo a cui si potessero affidare indifferentemente compiti legali e finanziari, sia grazie ai suoi studi universitari sia per naturale predisposizione alla versatilità e mobilità.

 

Da Cragnotti a Zurigo

La sua seconda esperienza nell’azienda canadese di imballaggi alimentari costituì una tappa molto importante per la sua carriera e la sua crescita professionale. In quel periodo ebbe, infatti, anche l’opportunità di cimentarsi con problematiche legate all’imprenditoria italiana. Gli capitò, infatti, di incontrare uomini della galassia dell’impero Ferruzzi e, soprattutto, si imbattè nell’ex amministratore delegato Enimont Sergio Cragnotti, di lì a poco finito nel tritacarne dell’inchiesta Mani Pulite. La Lawson Mardon all’inizio degli anni Novanta aveva una dimensione multinazionale di tutto rilievo: era quotata a Toronto, a Montreal, a New York e a Londra. Fatturava 1.200 miliardi, aveva 22 controllate, circa 60 impianti in tutto il mondo e oltre 7.000 dipendenti. Ma incombevano debiti per 400 miliardi, motivo più che sufficiente per far ritenere ad alcuni azionisti che sarebbe stato prudente liberarsi del pacchetto. Cragnotti fiutò l’affare. E con una banca d’affari che aveva da poco fondato in Lussemburgo, la Cragnotti & Partners (C&P) nel 1991 comprò il 32% del capitale di Lawson Mardon e il 100% dei diritti di voto per 80 miliardi di lire. Ma nel 1994 contro la C&P si preparava un procedimento penale per insider trading per manipolazione di corsi di Borsa e contemporaneamente il gruppo metalchimico Alusuisse Lonza (poi Algroup) acquistò la Lawson Mardon. Un mese dopo Cragnotti accettò di patteggiare con la Consob canadese una multa di qualche miliardo. E Marchionne seguì Algroup. Così emigrò un’altra volta: dal Canada tornò in Europa, in Svizzera.
A Zurigo, dove Algroup aveva la sede, iniziò una seconda vita professionale e manageriale dell’amministratore delegato della Fiat. E fu il suo vero trampolino di lancio. L’arte l’aveva imparata e messa da parte in Canada. Dove si era molto velocemente fatto le ossa. La carriera all’interno del gruppo svizzero in sei anni lo portò al gradino più alto: nel 2000 fu nominato amministratore delegato. Incarico che mantenne l’anno successivo all’interno di Lonza Group, nato da una scissione da Algroup, di cui nel 2002 divenne presidente. Algroup era una conglomerata di media grandezza che aveva il core business nell’alluminio, nella chimica e nel packaging. La mission in cui dovette cimentarsi Marchionne all’inizio era molto complessa. Algroup doveva, negli anni Novanta, trovare a tutti i costi un alleato nell’alluminio. Impresa che non era riuscita a nessun manager della società fino al 1994. Dopo alcuni tentativi, con Alcoa, numero uno al mondo del settore, poi con la tedesca Vaw, Marchionne portò a casa l’accordo con la canadese Alcan. Da quella sigla nacque, attraverso successiva incorporazione, il secondo produttore di alluminio al mondo.

 

L'ad di Fiat Spa con la giacca
L’ad di Fiat Spa con la giacca

Quella poesia di Logue

Gli svizzeri non sono certo formali come i torinesi, ma anche a Zurigo lo stile Marchionne rappresentò una robusta rottura con il passato. Per qualcuno fu una piccola rivoluzione: abbigliamento casual, con l’ormai ovvio maglioncino a girocollo, uso del «tu» con tutti e, soprattutto, ristrutturazione pesante delle gerarchie aziendali. La catena di comando fu ridotta da nove a cinque passaggi gerarchici e la cultura gestionale, di rapporto e di comunicazione all’interno dell’azienda fu ribaltata. Le nuove leggi diventarono: cultura non burocratica, poche regole, «irriverenza professionale», cioè abbandono dei timori e delle remore gerarchiche, fantasia, allineamento al mercato, gusto del rischio, competizione. Il motto fu stampato e fatto girare in azienda. Ai dipendenti arrivò la più incredibile circolare che avessero mai ricevuto, una poesia di Christopher Logue: «Come to the edge he said/Come to the edge/They came and were afraid/Come to the edge he said/He pushed/And they flew». Un inno alla qualità del gusto del rischio. Che può essere coraggio, improvvisazione, sicurezza in se stessi, capacità di dare il giusto peso e il giusto valore alle cose e alle situazioni. Un suo ex collaboratore svizzero racconta che la sera prima di un incontro decisivo con Alcoa, Marchionne arrivò a Londra senza aver preparato neanche una scaletta dell’intervento che doveva fare e di quel che avrebbe dovuto dire per convincere i dirigenti di Alcoa a siglare un accordo. « La faccio dopo cena» disse al suo collaboratore «adesso ho fame». Ma dopo mangiato disse di essere molto stanco e che sarebbe andato a dormire. La mattina si alzò alle cinque e terminò la sua presentazione un minuto prima dell’inizio della riunione. Questo la dice lunga su certe messe in scena di manager molto meno importanti di lui. Forse gli anni in Svizzera sono stati quelli più creativi, anche per una questione anagrafica. Certo è che Marchionne è rimasto legato ai cantoni. La sua famiglia vive tuttora a Blonay, vicino a Ginevra e lui ancora adesso mantiene la residenza nel canton Zug, la cui caratteristica principale è quella di offrire una tassazione molto vantaggiosa. Nel periodo in cui lavorava a Zurigo faceva tutti i giorni avanti e indietro in macchina da casa all’ufficio. Era il momento topico della sua giornata. «Questa mezz’ora che faccio tutti i giorni in macchina è quella che mi rende di più». L’unica controindicazione era il suo amore per il piede pesante sull’acceleratore: per questo motivo veniva spesso multato per eccesso di velocità. E per questo motivo spesso era costretto a girare a bordo di una utilitaria che, naturalmente, guidava lui: sia come direttore generale che come ad, dunque, lo vedevano spesso arrivare al lavoro a bordo di una Smart.

 

Due segnalazioni a Umberto A.

Le performance eccezionali raggiunte in Alusuisse misero Marchionne in vista negli ambienti economici e finanziari internazionali. Così nel 2002 Umberto Agnelli, sollecitato da due suoi amici, Flavio Cotti e il barone August von Finck, che segnalarono il suo nome (vedi capitolo sul rilancio della Fiat), fu nominato amministratore delegato del gruppo Sgs (Société Générale de Surveillance) di Ginevra, leader nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, di cui la Fiat aveva una quota. L’azienda, fondata a Rouen, in Francia, nel 1878, aveva sede a Ginevra ed era leader mondiale nei settori dell’ispezione (quantità, peso, qualità dei beni in commercio), del testing (misurazione sui prodotti dei parametri sanitari, di qualità e standard) e della certificazione (sistemi e servizi misurati con lo standard Iso 9000). Ma la situazione interna alla Sgs era molto critica. Nel 2002 di fatto la società era un agglomerato caotico consumato da contrasti interni al consiglio di amministrazione, da cui era stato estromesso un membro che, a sua volta, aveva citato in giudizio l’operato degli organi direttivi. Mai come a ottobre 2001 il titolo era stato basso: 182 franchi. Il bilancio di quello stesso anno si chiuse con 50 milioni di euro di perdita, un fatturato di 1,53 miliardi e un cash flow di 13 milioni. Dopo due anni di cura Marchionne, durante i quali fu rimessa a posto la dirigenza e fu corretta un’impostazione troppo centrista sulle stock option, nel 2003 i numeri in bilancio erano questi: utile netto, 136 milioni di euro, cash flow fino a 240 milioni. Il titolo nel 2004 valeva 668 franchi e il gruppo Sgs, a giugno di quell’anno, aveva 36.000 dipendenti e 1.000 uffici in giro per il mondo. Marchionne aveva uno stipendio legato ai risultati: 1,6 milioni nel 2002, 2,2 milioni nel 2003. Il mercato finanziario fu così grato all’amministratore delegato che, quando fu annunciata la sua nomina ad amministratore delegato della Fiat, il titolo Sgs alla Borsa di Zurigo prese subito l’8,3%, così da contenere la perdita del 7,2% che si verificò quando annunciò di lasciare l’incarico nel gruppo svizzero. In Svizzera lo chiamano da allora «Super-turbo-Marchionne» e qualcuno stima che la sua presenza in un gruppo valga il 15-20% del valore di una società. Gli svizzeri lo rimpiangono molto. A febbraio 2008 fu nominato vicepresidente di Ubs. Una nomina di immagine per Ubs che Marchionne ha accettato per amore della Svizzera. Ma per un po’ nei suoi programmi non rientra uno spostamento dal Lingotto. Anche se per molti mesi il colosso bancario svizzero, colpito pesantemente dalla crisi dei subprime, lo ha corteggiato. Si parlò con insistenza di un ingresso di Marchionne in Ubs come risanatore. Ma per ora è troppo impegnato a risanare l’automobile.

Marco Gregoretti