Verità perdute. Cesare Battisti. “Stavamo per catturarlo. Ma ci hanno fermato”

Cesare Battisti
Condividi l'articolo

È sera tardi. Le 21 di un giorno d’inverno del 2005, in Svizzera. Nove uomini stanno per salire su un elicottero. Destinazione: una località sul mare, a nord. Ad aspettarli c’è un mezzo acquatico d’altura. Veloce e silenzioso. Sono armati. La missione si chiama Operazione porco rosso. E consiste nel prelevare, con un blitz notturno, in una casa che si trova in territorio francese, il terrorista condannato dai tribunali italiani per quattro omicidi e rifugiato oltralpe, Cesare Battisti. Il piano è quello di portarlo in Italia ammanettato e consegnarlo alle autorità affinché lo mettano in prigione.

Il terrorista Cesare Battisti
Il terrorista Cesare Battisti

Quel che stanno per scoprire gli operatori di questa unità ombra è che Cesare Battisti, appartente ai Pac, Proletari armati per il comunismo, gode di protezioni molto, molto influenti. “Una telefonata ci avvertì di lasciar perdere: appena sbarcati sul posto avremmo trovato la Securité e gli uomini del Dgse (servizi segreti francesi per la sicurezza esterna), non per darci una mano, certo. Ma per arrestarci”.
Ricordate Gaetano Saya, il direttore del Dssa, il Dipartimento studi strategici antiterrorismo, accusato in realtà di aver fondato una sorta di polizia parallela e per questo messo agli arresti domiciliari nella sua casa di Firenze il primo luglio di quello stesso anno? Era lui a guidare la squadra armata che avrebbe dovuto prelevare Cesare Battisti e trasferirlo in Italia. Ed è lui a parlare adesso: “Avevamo individuato il porco rosso in una località fuori dai confini nazionali, ma abbastanza vicino. Avevamo approntato una squadra per andare a catturarlo. Era tutto pronto: sia gli elicotteri, sia i mezzi navali veloci. I sopralluoghi erano stati completati. Ma quando eravamo pronti a far scattare il blitz per catturarlo, fummo avvisati che il servizio segreto civile italiano, il Sisde (debbo essere sincero, in realtà non capimmo mai se fu il Sisde o se fu il Sismi), aveva allertato i servizi segreti francesi: guardate che sta per arrivare una squadra per catturare Cesare Battisti. A sua volta un organismo sovrannazionale che monitorava tutti quanti ci disse: sanno che arrivate con le armi per prenderlo, ma catturano voi. Quindi siamo stati costretti a desistere, praticamente. Sarei stato il primo a scendere e l‘ultimo ad andarsene. Avevo giurato che avrei portato in manette il terrorista Battisti dal Procuratore generale della Procura della Repubblica che aveva emesso l‘ordine di cattura in seguito ai quattro ergastoli. Avremmo avvertito tutti i giornalisti, ovviamente. Poi che venissero a contestarci pure il sequestro di persona”.

Gaetano Saya
Gaetano Saya

Insomma, dice Saya, non l’hanno mai voltuo catturare. Peraltro la conferma che quella operazione era stata pianificata è agli atti del fascicolo dell’inchiesta della Procura di Genova sul Dssa. È spiegata dettagliatamente nella trascrizione delle intercettazioni telefoniche fatte dalla Digos sui cellulari di Saya e dei suoi collaboratori. Nel Dssa c’era, infatti, una squadra specializzata nelle extraordinary rendition e tra i piani c’era anche quello “arrestare” due brigatisti rossi: Alvaro Loyacono, e Alessio Casimirri. E vi è stato sempre il dubbio che il Dssa potesse in qualche modo aver partecipato al prelevamento forzato di Abu Omar, l’Imam della Moschea di via Quaranta, a Milano. Come mai però, i servizi segreti italiani vennero a sapere dell’operazione Porco Rosso? “Fummo traditi” dice ancora Saya “Momenti drammatici quella sera. Eravamo pronti, eravamo operativi, quando arrivò la telefonata dallo Shape della Nato sul mio satellitare, l’interlocutore ci avvisò: non vi muovete, rientrate subito. Ricordo la drammaticità. Sarebbero bastati un paio di minuti: saremmo decollati e il telefono non avrebbe più avuto linea, perché sull’elicottero l’avrei spento, e ci avrebbero catturati non appena giunti. Perché il Dgse era pronto con la Securité francese. Sapevano perfettamente tutto, quindi qualcuno aveva già tradito”. Chi? “De relato, in realtà. Perché i servizi non sapevano direttamente dell’operazione. Però ci spiavano e invece di catturare Cesare Battisti, perché seguendo noi sarebbero arrivati a lui, ci tradirono. E questo la dice lunga sulle porcherie italiane che sono state perpetrate negli anni in Italia. La sezione K, le verità perdute…”. Insomma, furono fermati da un tradimento anche se questo aspetto nel fascicolo della Digos non è riportato. “Il Dgse, che sponsorizzava, su mandato dell’Eliseo, la latitanza di Cesare Battisti, fu avvisato dai servizi segreti italiani… La Digos, invece, ci aveva intercettati. Ma ci arrestò mesi e mesi dopo. Faccia attenzione a questo passaggio…”. E qui si aprirebbe un nuovo scenario. Appunti per un altro articolo. Partendo dalla domanda: ma allora che cosa era veramente il Dssa? Una polizia parallela che millantava crediti e funzioni, come sostenevano gli investigatori? Un gruppo di pataccari, come ebbe a dire l’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu? O facinorosi neofascisti, stando ad alcuni gossip giornalistici? “Noi eravamo uomini dello Stato che credevano nella Repubblica” dice Saya “Le racconterò prima o poi la vera storia del Dssa di allora e quello che è oggi il Dssa”. Oggi? “Sì, oggi è una divisione antiterrorismo a livello internazionale che ha operato in Iraq e contro il Daesh. Non siamo in Italia, per l’amor di Dio, perché sennò ci arrestano tutti di nuovo. Il Dssa è una military special company che agisce nei teatri di guerra internazionali contro il terrorismo. E che ovviamente non recluta operatori italiani”. Una annotazione: di questo, di tutto questo, si trova traccia persino su Wikipedia.
Marco Gregoretti

dssa