L’algoritmo che uccide. “Non siamo numeri a cui chiedere solo successo e risultati, siamo persone!”. La lettera delle amiche della studentessa di 19 anni che si è suicidata nel bagno dello Iulm, a Milano. L’articolo che ho scritto per Libero di Venerdì 3 febbraio 2023

L'articolo che ho scritto per di Libero venerdì 3 febbraio 2023 sulla lettera delle studentesse dello Iulm amiche della ragazza che si è suicidata nel bagno dell'Università
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Forse questa volta non ci sarà la solita retorica del giorno dopo. Del “mai più!” e via recitando. Le ragazze, le studentesse, le giovani donne, insomma, hanno preso carta e penna e con il cuore e la ragione hanno spiegato al mondo irreale degli adulti che cosa si celi dietro la morte della loro amica che mercoledì mattina all’alba è stata trovata priva di vita in un bagno vicino alle aule dell’edificio 5 dello Iulm. Un gesto volontario abbiamo scritto ieri. Perseguito con determinazione da una ragazza di 19 anni che si è suicidata con la sciarpa, alla maniglia della porta, perché si riteneva portatrice di un doloroso fallimento a 360 gradi, negli studi, verso i genitori, verso se stessa. Nel suo gesto estremo ha avuto la coraggiosa lucidità di spiegare questo ingestibile tormento in una lettera. Uno schiaffo alla società della competizione che oramai è robotizzata e sempre più priva di punti di osservazione, di sguardi. E anche, di fatto, un manifesto generazionale. Lo hanno detto, anzi, scritto a caratteri cubitali le colleghe di studio. Spogliando finalmente il Re: “l’atto volontario” della diciannovenne, come ha messo in luce Ieri il nostro giornale, ha ragioni profonde, è la rappresentazione di una ferita collettiva. “Ci viene chiesto di ambire perennemente all’eccellenza ” hanno scritto ieri le studentesse dello Iulm “ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti. Questo sistema continua e continuerà a uccidere. Non siamo numeri, ma persone”. Una stagista ha confermato a Libero il disagio che ha vissuto durante il master che ha frequentato: “Un ambiente comunque ostile. Dove io ero nulla. Ho addirittura pensato che dipendesse dal fatto che i miei genitori sono di fuori”. I dati rilevati dall’Istat spaventano: in Italia si tolgono la vita 4mila giovani ogni anno, tra i 10 e i 19 anni. Nel 2021, ci sono state 220mila richieste di aiuto lanciate da ragazze e da ragazzi con il mal di vivere. Un dato implementato dalla pandemia, ma che è in continua crescita, segno che occorra guardare, almeno in questo, oltre il covid. Scrivono ancora le studentesse: “Togliersi la vita, però, non è dovuto a una decisione momentanea. Non ci si impiega tre minuti. No, è il risultato di un carico che si porta da mesi, o anni, che la società ci butta addosso senza mai voltarsi indietro a controllare il nostro stato di salute. Neanche davanti a un atto tragico che non coinvolge solo la sfera personale”. Non è la solita tiritera a cui ci avevano abituato i post sessantottini secondo la quale è sempre colpa degli altri. No, qui si tratta di mettere di fronte alle proprie responsabilità chi continua ad andare a caccia di like, riempendosi la bocca con il mantra “Non lasceremo indietro nessuno”. Ebbene, sembrano raccontare i toni della lettera: eccoci qua, in fondo al tunnel in cui l’impietoso grafico dei risultati ci ha cacciato. Sapete che c’è? sembrano protestare, fatevela voi questa vita. “C’è stato un passaggio dalla depressione di colpa alla depressione narcisistica” spiega a Libero la giovane psicologa milanese Cecilia Ferrari “È cambiata la dimensione genitoriale, da quando era il padre, o il padre simbolicamente, quello che dava le regole, le indicazioni… Il modello famigliare affettivo di adesso, oltre a tutta una serie di implicazioni, ha involontariamente prodotto la fragilità narcisistica nei ragazzi. Così nel momento in cui, quando si diventa adolescenti e fisiologicamente bisogna affrontare la delusione, in qualche modo rompere un po’ l’aspettativa, si rischia di stare malissimo. In sintesi: c’è poca educazione al fallimento. Ed è un gran casino per i ragazzi”. Strette in un sentiero claustrofobico che va dal sogno, forse un po’ ingenuo, di un sistema accademico che insegni “che non siamo numeri, ma persone”, al dolore ingestibile fino all’estremo, provocato dalla fibrillazione narcisistica se non è tutto a immagine e somiglianza dal mondo esterno, le autrici della lettera lanciano una richiesta d’aiuto assolutamente legittima: “Siamo costantemente costretti a soddisfare aspettative e raggiungere numeri. Altrimenti sei lasciato fuori dal sistema, non vali abbastanza”. Cara ragazza che ti sei tolta la vita a 19 anni, queste sono tue vere amiche. Scriverlo fa scendere lacrime paterne.
Marco Gregoretti